Nonna
Quando ero piccola attendevo l’estate con ansia crescente. Sapevo che i miei genitori mi avrebbero portata in Italia, in Frìuli, dove viveva la nonna paterna per trascorrere le vacanze.
Mia nonna era una donna stupenda, alta.. efebica, bionda con qualche filo bianco tra i lunghi capelli che raccoglieva in un morbido chignon. I suoi occhi erano di un verde azzurro incredibile, aveva le mani con dita lunghe ed affusolate. Era nata a Mittelbuchen nella Foresta nera, aveva ricevuto un educazione molto esclusiva essendo figlia di una nobildonna veneziana che aveva perso il titolo sposando, per amore, un maestro. Si portava dietro un dolce, quanto malinconico sorriso in volto, ed era di modi gentili seppur incutesse soggezione. In realtà con me era diversa. Una volta mi disse che non vedeva l’ora di stare sola con la sua “geliebte Greta” perchè insieme a me tornava ad essere fanciulla. Il termine geliebte era la sola parola che pronunciava nella sua lingua natale, non parlava più il tedesco perchè, come diceva lei, la sua terra ed il suo popolo “l’avevano tradita” e liquidava il discorso con un gesto rapido della mano.
Nonna era una donna riservata e pudica nelle sue esternazioni e son certa che mai abbia raccontato di se ai figli ma con me parlava e si confidava, certo usando quel suo modo “irruvidito” di dire le cose. Io e lei avevamo un posto “segreto” che tutti conoscevano ma dove nessuno osava disturbarci. Nella proprietà passava un torrente tanto cristallino quanto freddo dove Papà, da bambino, pescava i gamberi di fiume che poi regalava agli amici poichè a loro non era permesso mangiarli. Era acqua che proveniva dalle montagne dell’alta Carnia ed in un certo punto del bosco, Dad aveva fatto costruire una scalinata di pietra che arrivava a lambire l’acqua sino dove affiorava, per metà, un masso gigantesco. Ecco, io e nonna ci siedevamo su quel sasso e mettevamo i piedi in quell’acqua gelida. Il gesto era quasi un rituale che anticipava le reciproche confidenze, quasi un “lavar via” le tristezze del mondo terreno. Una volta sedute e coi piedi a mollo, nonna tirava fuori la sua sigaretta, unico vizio che si concedeva. A dirla tutta era un vero e proprio vizio dato che quell’unica sigaretta la accendeva e fumava in due tranche durante la giornata! Una volta accesa seguiva qualche istante di silenzio dove si contemplava solo la bellezza del bosco e si ascoltava il canto dei diversi uccellini. Poi nonna iniziava a parlare. Cominciava sovente prendendo spunto dai Salmi oppure con le parole di Qoèlet che conosceva a memoria. Sovente la mia curiosità di bambina mi portava a farele domande non consone alle quali lei rispondeva immancabilmente dicendomi….
” C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare……
sino ad arrivare a dire la fatidica frase
“un tempo per tacere e un tempo per parlare”
il che significava che era implicito e beneducato il non chiedere più. Nonna era una vera “forza” della natura ed amava ogni cosa fosse dono del Signore. Ho ricordi stupendi delle mie vacanze. Una volta svuotò ed “arredò” per noi ragazzini un capanno di legno usato per attrezzi e noi ne facemmo una sorta di quartier generale delle giovani marmotte di cui possedevo tutti i manuali. Ci preparava merende con pane ed olio o con la marmellata fatta da lei. Ci sono giorni o gesti che me la riportano alla memoria; il profumo della lavanda e del rosmarino dove adagiava ad asciugare la biancheria, o il profumo del sapone di marsiglia che usava per lavarsi. Ricordo il suo modo di svegliarmi la mattina presto solleticandomi il naso con la carta di una caramella. Quando si ammalò di cancro e nell’ultimo mese di ricovero, papà la mise in una clinica privata, io mi presi l’aspettativa per stare con lei. Le leggevo i giornali, l’aiutavo a pranzare e farsi la doccia giornaliera, la cambiavo da testa a piedi due volte al giorno e la frizionavo con l’eau fraiche di Bien etre per rinfrescarla. Nella sua stanza mettevamo sempre fiori freschi del suo giardino e c’era sempre un sottofondo di classica; il suo sorriso stanco era per me il miglior ringraziamento. Ho cercato di rendere più leggeri i suoi ultimi mesi e la sera prima di morire parlammo a lungo. Mi disse che non aveva paura, che era felice di raggiungere il nonno, di stringere di nuovo i suoi genitori e mi pregò di farle sentire il suo pianista preferito ed aggiunse, ridendo, che Horowitz diceva sempre che esistevano solo tre tipi di pianisti: i pianisti ebrei, quelli omosessuali ed i cattivi pianisti! Così, quella sera, Horowitz “suonò” per noi Schubert. Lo ascoltammo in silenzio, nella penombra della stanza ed io ignorai le sue lacrime silenziose così come lei fece con le mie. Fui rasserenata dal fatto che la notte le avesse portato la Pace che meritava.
Sabato, mentre potavo le rose, mi è venuta in mente e quasi mi è sembrato di sentire la sua voce chiamarmi e ricordarmi che c’è
“Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.”
e che questo tempo è arrivato! Ciao nonna, sei cucita nel mio cuore!
La saggezza della tua nonna , loro dai nostri Cuori mai andranno via .
Sono impresse come un sigillo per guidarci in questo nostro cammino chiamato vita.
Ti abbraccio cara Greta , spero che stai bene , che il tempo sia bello .
Buon weekend Amica cara.
Rosy
Rosy cara, sabato finisco il secondo ciclo di chemioprofilassi. Stanca ma sto bene e piena di voglia di vivere. Le nonne e i nonni sono un patrimonio che andrebbe benedetto ogni santo giorno. Domani 4 luglio, grande festa da noi. Ti abbraccio forte
Molto toccante il tuo racconto cara Greta.
Grazie Paola, sono felice ti sia piaciuto. Un abbraccio