DOLOROSI RICORDI

 

  Dolorosi ricordi

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Dolorosi ricordi affollano la mia mente in questo 45° anniversario dal terremoto che sconvolse il Friuli.

Il telefono squillò.

Era mattina molto presto ed eravamo a Torino perché Papà doveva presentare un progetto importante. Ricordo ancora tutto con estrema lucidità. Arrivò Nina dicendo: ” Ingegnere la vogliono al telefono, è da Parigi!”                                                                   Mio Padre rispose ed il sorriso  gli si spense in volto, poi riagganciò il telefono e disse,  rivoto verso tutti noi,  che era suo cugino che viveva a Parigi. Chiedeva se avevamo notizie dei parenti e della nonna paterna; il Friuli era stato sconvolto da un violento terremoto.

Accendemmo al TV e le immagini presero a scorrere ripetitive e commentate da voci veloci e concitate. Papà si chiuse nel suo studio con la mamma e poco dopo lei uscì affranta, con gli occhi rossi. Non si avevano notizie dei nostri cari.                                               In casa era piombato il silenzio e tutti, compresi  i gemelli, tacevamo.  A metà mattinata arrivò a casa nostra, un militare ch e consegnò a mio Padre un lasciapassare a nome del Comando Generale dei VV.FF. che gli consentiva di passare e percorrere le strade che erano state chiuse a tutti i civili: era tempo di andare ed io  non volli sentire ragione e partii con Papà alla volta del Friuli mentre mamma, reduce da un intervento, restò a casa.

Ricordo quel viaggio come fosse ora, la musica classica di sottofondo, Papà silenzioso e poi, all’uscita del casello di Udine, iniziammo a vedere i primi danni. Percorrendo la Pontebbana da Tricesimo verso Tarcento notammo la  devastazione:  sembrava di essere in guerra, sembrava che il Friuli, il mio amato Friuli, fosse stato raso al suolo da raid aerei.                                         Arrivammo a casa verso l’imbrunire in tempo per vedere che la nostra casa non aveva subito alcun danno. Papà che ai tempi avevano preso in giro dicendo che “era fissato per l’antisismica”,  era stato lungimirante al momento di progettarla e farla costruire.  Percorrendo il viale che portava alla casa, notammo che solo il cancello d’ingresso faticava a richiudersi alle nostre spalle ma la casa in pietra del Tagliamento ed era integra e soprattutto,  tutti stavano bene a parte la paura che spinse la zia che, prima ed unica volta, vidi fare un gesto così intimo come gettarsi tra le braccia di papà piangendo disperata.

 La mattina seguente iniziammo il giro dagli amici di Papà. Tutti stavano bene ed inspiegabilmente le loro case erano danneggiate ma non in modo irreparabile. Andai subito in cerca di un amico che mi presentò un gruppo di Alpini in congedo che già scavavano dalla sera prima e mi accordai per unirmi a loro e mi indicarono dove andare.  Partii  quindi alla volta di Gemona  e mi fermai lì per  lavorare, scavare, piangere quando non ero vista fermandomi,  come tutti,  solo quando le forze ci impedivano di andare avanti.

Ricordo una riunione d’emergenza tenuta dal Sindaco e dalla Giunta sotto un grande tendone.  Decisero, in accordo con  la popolazione, che prima si sarebbero dovuti salvare i beni pubblici,  in particolare le mura medioevali e il Duomo.                                                    Il giorno seguente mi ritrovai a segnare, in vernice rossa,  numeri sulle pietre dello stesso. Vernice rossa, come rosso era il sangue delle quasi 1000 vittime. 

Quando ne parlo e le persone mi chiedono cosa mi sia rimasto impresso, la risposta è sempre uguale: tutto anche se ci sono state piccole ma grandi cose che mi si sono impresse nel cuore ed hanno creato dolorosi ricordi.   Un bimbo di 4 anni di nome Daniele che aiutava la famiglia mettendo nel suo secchiello giallo le macerie e lo svuotava in una carriola.  Alcune persone anziane che facevano la spola avanti e indietro per portare,  a tutti noi,  acqua, panini, caffè.                                                                                                  Un soldato austriaco che piangeva abbracciato ad una donna anziana che stava seduta sulle macerie di fronte a quella che era stata la sua  casa fissando,  tra le lacrime,  la porta d’ingresso rimasta inspiegabilmente in piedi.

Il terremoto!  La fine di tutto ciò che possiedi e che per quasi tutti loro, arrivava da una vita di immani sacrifici segnati  da storie  d’emigrazione  e di “ritorni” fatti per poter costruire proprio quella casa e morire da vecchi nella propria amata terra.  

 E che dire del popolo friulano?  La loro tenacia, la loro serietà ed operosità che li ha resi famosi ed amati  nel mondo, ha fatto sì che in 10  anni tutto fosse ricostruito,  tutto uguale se non più bello di prima. Partii per tornare a casa dopo due mesi ma il mio cuore rimase lì, in quella che considero parte della mia Italia, del resto in me scorre il 50% di sangue friulano ed in quesa linfa vitale scorrono anche i dolorosi ricordi di quelle giornate.                                                                                                                          

Alcuni mesi dopo, in concomitanza con le festività pasquali, ricevetti una lettera dell’allora ufficiale degli Alpini in congedo  che aveva coordinato,  con maestria ed efficenza,  la nostra squadra. All’interno oltre ad una commovente lettera,  c’era una moneta con su scritto: Un  modon par omp e o’ tornarin a plomp (un mattone ciascuno e torneremo a piombo!). Piansi a lungo. 

 

 

 

 

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Pubblicato da GMS .

" La miglior vendetta? La felicità! Non c'e niente che faccia impazzire i mediocri più che il vederti felice." Alda Merini Io ho scelto di essere felice!

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